«Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia»: così recitava la legge n. 4671 del Regno di Sardegna, lo Stato che si era reso protagonista di due Guerre d’Indipendenza e del sostegno non troppo velato alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi. Con questo provvedimento legislativo nasceva il 17 marzo 1861 il Regno d’Italia, sul cui trono sedeva Vittorio Emanuele II Savoia: in quanto Re d’Italia avrebbe dovuto essere I, ma la scelta di conservare la numerazione dei sovrani della monarchia sabauda indicava la continuità istituzionale e costituzionale, rappresentata soprattutto dall’estensione dello Statuto Albertino a tutte le nuove province che tramite plebisciti avevano sancito l’annessione.
In occasione dei 150 anni da tale evento, nel 2011 è stata istituita in data 17 marzo la Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera.
Al di fuori dei confini del neonato Stato unitario restavano tuttavia all’epoca quelle che il glottologo goriziano e patriota Graziadio Isaia Ascoli avrebbe definito nel 1863 le Tre Venezie: Euganea (l’attuale Veneto), Tridentina (Trentino-Alto Adige) e Giulia (Trieste, Gorizia ed Istria). La III Guerra d’Indipendenza nel 1866 avrebbe portato solamente all’annessione del Veneto, rendendo Venezia Giulia e Venezia Tridentina oggetto delle rivendicazioni dell’irredentismo, sorto appunto per ottenere la redenzione di queste terre dalla dominazione straniera.
Poche settimane dopo la proclamazione del Regno d’Italia, la convocazione del Parlamento austriaco comportò che le Diete provinciali eleggessero i propri rappresentanti per l’assemblea che si sarebbe riunita nella capitale imperiale. La Dieta istriana, che si riunova a Parenzo ed in cui sedeva la classe dirigente di lingua e cultura italiana, non si riconosceva nelle istituzioni viennesi, guardava con crescente interesse al Regno d’Italia e perciò indicò “Nessuno” come suo rappresentante a Vienna. Analogamente il Consiglio comunale di Fiume e la Dieta provinciale dalmata indicarono “Nessuno” come proprio rappresentante ai consessi elettivi croati di secondo grado in cui le autorità viennesi avevano inserito il capoluogo del Carnaro e la Dalmazia in spregio alla vocazione autonomista della comunità italiana autoctona.
A questa pagina del Risorgimento italiano il Consiglio Regionale del Veneto ha dedicato nel 2021 il convegno “L’autonomia delle terre venete. Uno sguardo tra passato e presente a centosessant’anni dalla Dieta del Nessuno” coordinato dal Prof. Davide Rossi (Università degli Studi di Trieste). Dagli Atti del convegno, che possono essere liberamente consultati online e scaricati in formato PDF dal sito dal Consiglio Regionale Veneto, riportiamo uno stralcio del contributo di Kristjan Knez (Presidente della Società di Studi Storici e Geografici di Pirano) intitolato “Il ‘Nessuno’ del 1861. Gli episodi della Dieta provinciale dell’Istria e del Consiglio comunale di Fiume”. [LS]
In seno alla Dieta provinciale dell’Istria con sede a Parenzo, il 10 e il 16 aprile 1861 la maggioranza dei deputati liberali rifiutò di votare per due volte consecutive l’elezione di due rappresentanti al Parlamento viennese.
Le autorità asburgiche sciolsero la Dieta.
Alla costituzione di una contea croata con capoluogo Fiume, il Consiglio comunale protestò facendo sentire la propria voce all’imperatore (31 gennaio 1861), sottolineando il palese tentativo di croatizzazione e la volontà del ritorno all’autonomia. Il 12 marzo evidenziò l’auspicio della riannessione all’Ungheria e la ferma decisione di non inviare i suoi deputati alla Dieta della Croazia-Slavonia. Nel tentativo di far eleggere i quattro rappresentanti dalla cittadinanza, la maggioranza degli aventi diritto in più occasioni indicò “Nessuno”.
Alla Dieta provinciale dalmata a Zara, alla richiesta dell’invio dei deputati a Zagabria per trattare l’annessione della Dalmazia alla Croazia (come era stato promesso il 5 dicembre 1860 dall’imperatore ai rappresentanti del Sabor croato), il 18 aprile 1861 il deputato autonomista Antonio Galvani propose la mozione affinché la proposta governativa «non sia accolta tanto per la forma, quanto per la inopportunità dell’annessione stessa». La mozione ottenne 29 voti favorevoli e 13 astensioni.